Rassegna Stampa
Antognoni non ammaina la bandiera: “Conta la maglia, non chi la indossa”
Il Corriere Fiorentino ha intervistato Giancarlo Antognoni, club manager della Fiorentina: “Ormai da tutte le parti è così, la forza contrattuale di un giocatore nei confronti della società è enorme e sbilanciata. Succede anche ai top club, basta guardare Bonucci: anche lui poteva diventare una bandiera e invece…”. Di una cosa Giancarlo Antognoni può stare sicuro, che quel soprannome, ‘l’Unico 10’, non glielo insidierà mai nessuno. D’altronde oggi come ai suoi tempi quel numero significa fantasia, classe, tecnica. Ma oggi chi possiede tutto questo pensa solo a monetizzare il più possibile il proprio talento, mentre il resto finisce in secondo piano.
Antognoni quella di Bernardeschi non è una cessione come un’altra. Se ne va un gioiello costruito in casa. Quanto fa male?
“Partiamo da un presupposto: parlare di maglia e di affetto per la piazza ormai non serve. Anche per me è difficile farlo con questi giocatori. Ormai contano solo i soldi. In più la concorrenza si è allargata a tutta l’Europa e diventa impossibile frenare chi vuole andarsene o placare un mercato che con cifre fuori controllo. Bisogna allora confidare nelle persone, ma non sempre basta…”.
In che senso?
“In questo mercato la valutazione di un giocatore cambia così rapidamente che in poco tempo un giocatore che fino a poco prima si sentiva soddisfatto per quello che aveva raggiunto, inizia a fare pensieri diversi e ad avere aspirazioni economiche improponibili per una realtà come la Fiorentina”.
Quindi le società sono destinate a uscire sconfitte?
“I club non sono più nelle condizioni di prevedere il proprio mercato. Devono adeguarsi, come ho fatto io…”
Cioé?
“Mi riferisco al modo di parlare con i giocatori, anche io mi devo adeguare al loro modo di pensare. Parlare con loro di attaccamento alla maglia e ai colori oggi per la maggior parte delle volte non ha senso. Diventano parole vuote. Contano i soldi e la carriera”.
E quindi?
“Quindi bisogna essere bravi a lavorare sui giovani di prospettiva, fare acquisti oculati e comunque importanti”.
Torniamo ai rapporti coi giocatori.
“Sono più difficili. Rispetto a trent’anni fa, al mio calcio, tutto è cambiato. Certo la stima e il rispetto anche nei miei confronti in questi mesi non sono mai mancati da nessuno di loro, ma poi contano i fatti. E il modo di ragionare di oggi è troppo diverso”.
Però magari uno come Antognoni potrebbe raccontare loro cosa significa legarsi a vita a una città…
“Per sentirmi dire “Bravo bischero…”? (ride, ndr ). Naturalmente è una battuta, ma la verità è che la parola “bandiera” non ha più cittadinanza in questo calcio. Con Totti si è chiusa un’epoca. Per arrivare a guadagnare sempre di più non si può essere bandiere”.
Chi ci rimette alla fine sono i tifosi. E la passione.
“Dipende. In tanti hanno capito che si può ancora voler bene a un giocatore che veste la tua maglia, ma senza affezionarsi troppo”.
Ma si può andare allo stadio così?
“Beh, un altro modo in realtà c’è: tifare per la maglia e non per chi, al momento, la indossa. O no?”.