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Prosegue l’intervista di Roberto Baggio a Walter Veltroni, pubblicata questa mattina sulle pagine del Corriere della Sera. Queste le sue dichiarazioni:
Cos’è il gol per te? E ne ricordi uno con particolare piacere?
“Quello con la Nigeria. È stato molto importante. Ma, credimi, a me piace segnare. Ma mi piace ancora di più far segnare, condividere con altri la gioia di un lavoro comune“.
Come hai vissuto il fatto che per due volte non abbiamo giocato ai Mondiali?
“Una sensazione strana, alla quale non siamo abituati. Però a me sembra assurdo che una nazionale che ha vinto gli europei non sia ai mondiali di diritto. Avevamo vinto a Wembley, mica poco. Ora spero. Noi italiani siamo fatti così. Se ci attaccano, se ci mettono in discussione, diamo il meglio. Così fu nel 1982, nel 2006 e anche nel 1994. Abbiamo un orgoglio invidiabile. Non solo nel calcio, in tutti gli sport“.
Quante delle tue magliette hai tenuto? E se dovessi sceglierne una per andare a dormire?
“Molte, ma sono stato anche un pirla, ho dato via un sacco di roba nei cambi di maglia. Pensa che sono andato a cena con Boninsegna, gli ho chiesto una delle sue maglie. Lui ne ha tenute molto poche. Però mi ha regalato la sua, roba da brividi, e io gli ho dato una mia del Mondiale. Ecco, la maglia azzurra è quella che preferisco su tutte. Quella del ’70 e tutte le altre, di sempre“.
I primi ricordi legati al calcio?
“Potessi, pagherei per tornare a giocare contro il muro della mia casa da bambino con il portone di ferro di mio padre con i vetri. Ogni tanto li spaccavo e dovevo essere più veloce io a prendere il pallone che lui a prendere me“.
Quale era il lavoro di tuo padre?
“Lui realizzava serramenta in alluminio. Era un genio, sapeva fare tutto. Era nato per lavorare, aveva una passione infinita. Erano gli uomini di una volta. Come tutti quelli della sua generazione, che hanno ritirato su il Paese dopo la guerra. Lo hanno fatto con il lavoro, non con i cellulari“.
La guerra.
“A cosa porta la guerra? Se sapessero la legge di causa ed effetto, che tutto, in questa vita o nella prossima, torna, qualche riflessione la farebbero. Ci sono troppi interessi e troppo io, in giro“.
Perché tu, Del Piero, Totti, Maldini, non siete attivi nel mondo del calcio? Non è strano?
“Mah, io sono sempre stato in giro, sempre via, viaggi, ritiri, partite. Poi ti rendi conto che la vita ti sfugge di mano, che il tempo vola. Arrivi a una certa età e cominci a fare i conti con il tempo. Io, non voglio parlare per altri, voglio vivere questi anni in modo semplice, facendo cose semplici, godendo le mie passioni con la mia famiglia, i miei amici. E rispettando il mondo del calcio, che mi ha dato tantissimo“.
Tu però ci hai provato con la FIGC qualche anno fa…
“Sì, sono stato due anni al settore tecnico. Ma contavo meno del due di coppe quando regna bastoni. Avevo fatto un progetto per i giovani, ma le mie idee e le loro non combaciavano. Ne ho preso atto“.
Tu non sei andato molto d’accordo con gli allenatori, vero?
“Io sono sempre stato scomodo. Quando giocavo ho incontrato la fase della tattica esasperata. Chi aveva il mio ruolo non rientrava negli schemi di moda. Ormai schieravano tutti il 4-4-2 e noi eravamo qualcosa che stonava. Poi se segnavamo dicevano che aveva vinto la squadra di Baggio, di Zola, di Mancini e gli allenatori soffrivano. Se oscuri gli altri, se entri in conflitto con gli ego, diventa tutto più difficile…“.
Qual è l’allenatore a cui sei più legato?
“Io sono grato a tutti, da tutti ho imparato qualcosa. A cominciare dal mio primo, che di mestiere faceva il fornaio a Caldogno. Ma se tu ti nascondi o parli male di me perché ti oscuro, allora non possiamo andare d’accordo. Questo era il problema. Io ero pesante. Per questo non facevo interviste, non volevo apparire. La gente mi voleva bene, avevo grandi attenzioni e questo dava fastidio a molti“.
C’è qualcuno dei tuoi compagni che non ci sono più con i quali, se potessi, vorresti stare a cena una volta?
“Tanti: Paolo Rossi, Gaetano Scirea, Luca Vialli. E Vittorio Mero, mio compagno di squadra, morto a 27 anni per un incidente d’auto. Li vorrei a cena tutti insieme. Però pago io…“.
E se invece incontrassi Roberto Baggio bambino, che consiglio gli daresti?
“Di essere meno buono. Io, se tornassi indietro rifarei tutto quello che ho fatto. Credo di aver attraversato la mia vita con umiltà e coerenza. Per questo ho pagato dei dazi, ma va bene così. Qualche volta, per bontà o quieto vivere, ho seguito i consigli di altri e non le mie sensazioni“.
Tu a me sei sempre sembrato un eroe malinconico o, se preferisci, poetico…
“Ho sempre rispettato gli altri. Me lo hanno insegnato i miei. Quando giocavo non ero estroverso. Non mi sono mai esaltato, viaggiavo sempre ad altezza della terra. Tendevo a chiudermi, ero molto sensibile. Forse pesava quell’incidente. A diciotto anni ti sei rovinato la vita e tutti ti dicono che non ce la farai, che non giocherai mai più… E tu non sai e non vuoi fare altro nella vita“.
C’è un errore, nella tua vita, che non rifaresti?
“Sì, c’è. Il rigore di Pasadena. Non riesco a liberarmene“.
 
												
																					 
																					 
																					 
																					 
																					 
																					 
																					 
																					 
																					 
																					 
																					 
																							 
																							 
																							 
									 
									 
									 
									 
																	 
														 
														 
														
Di
Redazione LaViola.it