A Torino Chiesa era l’uomo più atteso ed è stato uno dei peggiori in campo, salvo svegliarsi negli ultimi minuti. Da Federico ci si aspetta ben altro
Nell’ennesima sconfitta della stagione della Fiorentina a Torino, la quarta consecutiva in campionato, la settima in 15 giornate di Serie A, due individui avevano puntate su di loro le luci dei riflettori più di ogni altro. Uno era Vincenzo Montella, che vede sempre più pericolante la sua panchina, schiacciato da risultati e prestazioni a dir poco deludenti. L’altro, per molteplici ragioni, era Federico Chiesa.
Dai mal di pancia estivi alla conferma forzata della società. Dall’inizio di stagione sufficiente ma non scoppiettante all’infortunio appena successivo alla grande prestazione in Nazionale. Fino ad arrivare agli incontri di Enrico Chiesa con la società delle ultime due settimane. Gli incontri della pace fatta, che sono coincisi con il rientro in campo del classe 1997 dopo due gare saltate.
TUTTI GLI OCCHI SU DI ME. Al ritorno sul rettangolo verde, come detto, gli occhi di tutti erano puntati su Federico. Proprio come titola l’album più celebre di Tupac Shakur, uno dei migliori e più influenti rapper della storia. Ne deve fare di strada Chiesa per raggiungere la vetta della sua specialità: tirare calci a un pallone. Di certo quello visto a Torino non è un giocatore che può aspirare al gotha del calcio mondiale.
DELUSIONE E IRRITAZIONE. Svogliato, nervoso e a tratti irritante per 85′. Questa è stata la partita del giocatore più atteso sul terreno di gioco. Emblema della sua prestazione l’atteggiamento sul gol del 2-0 del Torino: invece di contrastare l’avversario (Aina, che fa partire la ripartenza conclusa da Ansaldi) si mette a protestare con il guardalinee, mentre i granata in contropiede infilano Dragowski nel miglior momento della Fiorentina.
LA SVEGLIA TARDIVA. Negli ultimi cinque minuti Chiesa si sveglia all’improvviso, per ricordare a tutti ciò di cui è capace. E per ricordare che l’infortunio c’entra poco con la brutta prestazione, se si è capaci di tali accelerazioni a fine partita. Salta netto tre volte in pochi minuti il diretto avversario, cosa che mai gli era riuscita nel resto della partita; in una di queste sortite serve l’assist per il gol della speranza di Caceres, arrivato troppo tardi.
Troppo tardi. Due parole che giudicano alla perfezione la partita del giovane figlio d’arte. Il ragazzo che aveva gli occhi di tutta Firenze (e non solo) addosso, che doveva trascinare la Fiorentina fuori dalla sua crisi a suon di accelerazioni letali, ha giochicchiato per 85′.
SERVE DI PIÙ. Inutile dire che così non va. Si diceva che Chiesa avesse un tale atteggiamento da professionista che il suo rendimento non avrebbe risentito dell’estate turbolenta. Ad oggi, con l’attenuante di un infortunio molto fastidioso, tali previsioni si sono rivelate decisamente ottimistiche. Chiesa ci ha abituato troppo bene, è inevitabile che si pretenda di più. Qualsiasi sia il suo futuro, che pare sempre più lontano da Firenze. Un campionato anonimo, peraltro, rischia di svalutarlo sul mercato: siamo sicuri che oggi ci sia ancora qualcuno disposto a sborsare 70 milioni per il classe 1997?
LA FIORENTINA HA BISOGNO DI FEDERICO. Ma oggi questo interessa fino a un certo punto. L’estate è ancora lontana e la Fiorentina non si priverà di Chiesa a gennaio. La situazione della squadra è molto difficile, la classifica ora fa anche un po’ paura, soprattutto ricordando ciò che è successo la passata stagione. Ecco che i viola hanno un disperato bisogno del miglior Chiesa. Del giocatore che trascinava i compagni, non di quello che ci litiga continuamente.
A partire dalla sfida con l’Inter, dove Federico avrà ancora una volta tutti gli occhi su di lui. Non solo dei tifosi viola ma anche dei nerazzurri, che sognano il talento della Fiorentina per arricchire la propria rosa. La pressione su Chiesa sarà ancora tanta. Chiedere motivazioni dettate dal cuore in questo calcio è anacronistico, dunque al ragazzo si chiede di uscire da questo momento difficile da grande professionista, come è sempre stato descritto.

Di
Marco Zanini