Il ricordo non si annacqua perché generazioni di portieri lo hanno ammirato, studiato, imitato, senza avvicinarsi nemmeno al suo sconfinato talento. Enrico Albertosi usciva dai pali con la leggerezza di una libellula, quando l’epoca consigliava di far da sentinella ai pali. Ricky giocava con i piedi quando gli altri portieri li usavano solo per camminare. Metteva la schiena all’altezza della traversa, Enrico era lo stile all’ennesima potenza, grande, grandissimo interprete di un ruolo carico di fascino. Era in porta in Italia-Germania 4-3, nella finale Mondiale col Brasile: due anni prima aveva trionfato a Roma, conquistando un Europeo. Ricky ha speso 10 anni della sua vita a Firenze – vincendo 2 coppe Italia e una coppa delle Coppe – e 6 a Cagliari, conquistando uno scudetto insieme a «Giggirriva». Nel Milan un altro scudetto e una coppa Italia. Ma Cagliari-Fiorentina per lui è uno stomaco arrotolato come un canovaccio. Troppe emozioni.
E’ la partita della sua vita?
«La vedo volentieri, ma non so per chi tifare. Firenze mi ha dato tanto: ho esordito in A con la Fiorentina, sono rimasto 10 anni, ma non ho vinto il campionato».
Una ferita che non si sutura.
«Resta il mio grande rammarico. Non so che avrei dato per vincere lo scudetto in viola. Invece andai via l’anno prima e poco dopo mi sono rifatto, vincendo il tricolore in Sardegna».
Com’era la sua Cagliari?
«Diversa da Firenze. Sono arrivato nel ’68 e non c’era nulla. Non potevi uscire la sera e fare i bagordi…come in riva all’Arno. Vita ritirata, ma serena. Il nostro allenatore, Manlio Scopigno, però ci faceva fare tutto ciò che volevamo».
Ritiri?
«Macché… sabato sera a casa e la domenica mattina ci ritrovavamo per pranzare, poi allo stadio. Il bello veniva in trasferta».
Perché?
«Partivamo sempre il venerdi: Scopigno aveva la moglie a Roma, quindi si faceva tappa nella Capitale. La sera eravamo liberi. Lui mi diceva: ‘Enrico c’è un ippodromo oppure vieni al cinema?’. No mister, rispondevo, vado alle corse dei cavalli. Bene, ribatteva, ci vediamo a cena alle 19,30. Era all’avanguardia, capiva la psicologia di ognuno di noi».
La sua Firenze invece?
«Ho dovuto aspettare quasi 5 anni per diventare titolare. A quei tempi funzionava così… Gli allenatori preferivano i giocatori esperti. Pensate che esordii nel ’61 a Firenze in una amichevole al Comunale tra Italia e Argentina, ma ero la riserva di Sarti».
Con il fenomeno di Giuliano tra i pali lei non giocava mai.
«Solo quando era infortunato o di notte perché diceva che aveva difficoltà a vedere, soprattutto le distanze».
Com’era il rapporto?
«Di concorrenza, ma eravamo amici davvero. Era abituato male (Albertosi scoppia a ridere, ndr)…perché in carriera aveva sempre avuto dodicesimi che non volevano mai giocare… Ma devo dire che da lui ho imparato tanto. Anche se…».
Che succedeva?
«Giuliano ogni tanto qualche frecciatina me la tirava. Mi diceva: in Nazionale giochi tu, ma siamo a Firenze e gioco io… Era una tecnica per smontarmi, non ci riusciva».
Lei è considerato uno dei più grandi di sempre: oggi se si rivede, che pensa?
«Sono consapevole di essere stato un grande portiere, ma ce ne erano altri, come Zoff, e ce ne sono ancora, Buffon. E in futuro Donnarumma».
Ha inventato uno stile…
«Già 50 anni fa giocavo fuori dai pali e nelle partite del giovedì stavo in attacco perché avevo un buon piede, il sinistro».
Nato a Pontremoli nel ’39, zona di confine…
«Certo, siamo in mezzo a più province di più regioni: la mia è Massa Carrara quindi mi sento toscano, certo».
Il ricordo più bello in maglia viola?
«Non ho dubbi, la vittoria del ’61 a Glasgow che valse la conquista della coppa delle Coppe. Partita strepitosa».
Ha giocato con Riva, uomo bandiera, ed è stato avversario in campo di Antognoni, altro simbolo. Pare che ora Giancarlo possa rientrare nella Fiorentina.
«Sarebbe giusto. E’ stato un grande calciatore, ha dato tutto alla Fiorentina».
Veniamo ai viola attuali: squadra involuta?
«Un anno fa l’avevo vista bene, c’era Kalinic che faceva gol sempre. In questa stagione il croato gioca spalle alla porta, diventa dura segnare. Penso che il vero problema sia il gol».
Tatarusanu le piace?
«E’ un buon portiere. Non è un fenomeno, per carità, ma nemmeno un brocco».
Che partita sarà domani?
«Il Cagliari in casa fa sempre risultato anche se la difesa traballa. I viola in Sardegna sono costretti a far risultato».
A Firenze chi sono i suoi amici più cari?
«Merlo e Chiarugi».
Enrico, che fa oggi?
«Vivo al Forte dei Marmi e faccio il nonno. Tra pochi giorni festeggerò 77 anni, non mi lamento…».
Ricky, si ricorda quello che gli combinò suo figlio al Comunale di Firenze?
«Eccome… Giocavo nel Milan e lui faceva il raccattapalle. Si piazzò dietro la mia porta: io presi gol, mi girai e vidi Alberto che esultava. Gli dissi a muso duro, ma cosa festeggi… Lui si bloccò e poi scoppiammo a ridere… Oggi ha 51 anni, vive in Versilia, e gestisce un negozio di articoli da regalo». E ai clienti racconta che suo babbo è stato un grande portiere. Il più grande di tutti.

Di
Redazione LaViola.it