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Lamberto Piovanelli: “Andare alla Juve l’errore più grande della mia vita. Mi voleva la Fiorentina, ma…”

Attaccante fiorentino, dal Pisa passò però alla Juventus: “Al Marisa urlai “meglio secondi che ladri”. Ma l’errore più grande della mia vita…”

Su La Nazione intervista a Lamberto Piovanelli, fiorentino dell’Isolotto, classe ’64, giocatore del Pisa negli anni ’80. E’ nato “vicino alla micropiscina. Via del Franciabigio, al Casone. Poi i miei genitori, quando avevo sei anni, si trasferirono a Scandicci, San Giusto, proprio di fronte all’ospedale di Torregalli”.

AL PISA. “A Castelfiorentino restai due stagioni, feci dieci gol ogni anno. Mi vide Antonio Bongiorni, che mi portò una settimana in prova a Bergamo e con l’Atalanta feci anche il tomeo di Viareggio. Piacqui a Nedo Sonetti. Poi, nel 1986, mentre ero militare, l’Atalanta ebbe bisogno di un libero e individuò Domenico Progna del Pisa. E Romeo per fare l’affare, oltre ai soldi, volle in cambio me”.

POI LA JUVE. Quello è stato l’errore più grande della mia vita, scegliere la Juventus. Mi voleva la Fiorentina, Mario Cecchi Gori in persona. Non fu una scelta facile. Mi ricordo perfettamente, era il 21 dicembre del 1990, mi trovavo in aereo con la Nazionale e mi chiesero: dove vuoi andare? Dissi la Juve, e sbagliai”. Perché quella scelta? “Perché pensai anche a tutelare i miei genitori, stavano a Firenze, il tifo fiorentino non è semplice se le cose fossero andate male. E poi, per un calciatore, quella era la squadra più desiderata d’Italia. Ma nel 1982 ero ad aspettare il risultato di Cagliari-Fiorentina al bar Marisa, me ne andai gridando “meglio secondi che ladri”. Io la odio proprio, sono prima antijuventino e poi tifoso della Fiorentina o del Pisa. Anche se nel libro che ho scritto un paio d’anni fa la casa editrice me l’ha fatto cambiare con ‘non la amo'”.

OGGI. “Ho un negozio di panetteria-vineria a Pisa che gestisco con mia moglie, ho due figli da una precedente unione e anche uno di loro, come me, si divide fra Fiorentina e Pisa”. Le manca Firenze? “Ogni tanto prendo mia moglie e ci andiamo. Le dico, “via, rifaccio il pieno di ossigeno”. Una girata a trovare mio fratello, a mangiare il panino con il lampredotto e a rivivere quella fiorentinità del Casone e dei tempi dell’Isolotto. ll mio babbo mi portava a vedere i Bianchi, perché era amico del Bambino”.

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