
L’ex romanista Nela fu colpito da arresto cardiaco in campo nel 1984. “Va controllato tutto. Io ci sono passato e so quanta voglia si ha di rientrare”
“Adesso Edoardo deve solo stare tranquillo, pensare a guarire. Decideranno i medici, in base alle analisi che stanno effettuando, le ragioni di questo malore. Ho letto tante cose: valgono solo le parole degli esperti. Poi ci sarà tempo per decidere cosa fare in futuro. L’importante è che guarisca“. Sebino Nela, dalle pagine del Corriere della Sera, manda un messaggio chiaro a Edoardo Bove.
Lo fa con la cognizione di causa di chi, come lui, ha vissuto un doppio ruolo davanti a una possibile tragedia in campo. Da involontario protagonista, quando l’11 marzo del 1984 ebbe un arresto cardiaco durante una partita: “Napoli-Roma una bella giornata di sole, nella nostra area di rigore, sotto la Curva A, quella a destra della tribuna centrale, salto per prendere un pallone. E in un attimo fu il buio. Il mio compagno di squadra Dario Bonetti mi aveva colpito alla testa con una gomitata. Ebbi un arresto cardiaco. Fui salvato dall’immediato intervento di due grandi persone nella storia della Roma che oggi non ci sono più: il medico sociale Ernesto Alicicco e il massaggiatore Giorgio Rossi. Mi dissero che mi fecero la respirazione bocca a bocca che mi salvò. Mi ripresi uscendo dal campo con le mie gambe. La gara proseguì, ma da allora per avere l’idoneità per giocare dovetti andare tutte le estati a fare degli esami specifici a Trento: ogni volta con un’ansia incredibile. La mia, però, rispetto a molti altri casi, fu una storia ‘semplice’ nella sua drammaticità: c’era stato un chiaro evento traumatico“.
Non come quello che accadde a Bologna: Nela in campo con la maglia della Roma il 30 dicembre del 1989 e Lionello Manfredonia che da solo barcolla e cade privo di sensi in quell’indimenticabile Bologna-Roma.
“Fu un vero choc, una scena terribile: Lionello stava male. Il dottor Alicicco, sempre lui, fu decisivo: con la punta delle forbici aprì la bocca di Lionello per permettere la respirazione. Aveva le mascelle serrate e la bava alla bocca. L’ambulanza era a disposizione. E la fortuna ulteriore fu che l’ospedale Maggiore era vicinissimo allo stadio. Quell’infarto fu trattato con tempistiche eccezionali. Non sempre accade, ma quella volta andò bene, perché rispetto a Napoli, c’era una lesione cardiaca e non un trauma a provocare il malore“.
Pensieri che sono tornati alla mente domenica davanti alla tv.
“Si è capito subito che era una cosa grave. Il corpo riverso bocconi di Bove e le facce terrorizzate di chi era in campo. Le stesse che avevamo visto tante altre volte, come nel caso di Eriksen agli Europei. Anche qui, come per me, per Manfredonia e per Eriksen, la prontezza di riflessi e la professionalità dei medici hanno fatto la differenza. Ho sperato che non fosse nulla di grave, ma fino a quando non ci hanno detto che era fuori pericolo, l’ansia è stata grandissima“.
Bove ha detto subito che vuole tornare in campo.
“Capisco Bove: ho letto che ha chiesto quando potrà tornare a giocare. È normale, passata la paura del momento, che poi non ricordi in modo dettagliato, come accadde a me, guardi al futuro, alla tua vita di calciatore, specie per Edo che ha 22 anni. Ma adesso ci vuole la tranquillità che porta alla guarigione. È circondato da tantissimo affetto: la famiglia, innanzitutto. Ma anche la società che si è dimostrata straordinaria, come tutti i suoi compagni di squadra. E gli attestati di affetto e di stima che sono arrivati da tutto il mondo e in particolare da Roma, dai tifosi romanisti. Il ragazzo ora deve solo attendere di sapere che cosa è successo. La vita è la cosa più importante. Io ci sono passato, mi permetto di insistere“.
Resta sempre lo sgomento quando un calciatore, un atleta super controllato, diventa improvvisamente così fragile da rischiare la vita.
“Esatto. Ma i controlli ci sono e, soprattutto in Italia, sono giustamente severi. Il caso Eriksen lo dimostra. Ed è fondamentale che intorno al campo ci siano tutti gli strumenti che, in mano ai professionisti, salvano le vite. Il mio augurio grande per Edo è che presto si capisca quello che è successo al suo fisico, le ragioni di questo malore così grave, che ha spaventato tutti. E che possa garantirgli di continuare a fare quello che sa fare benissimo: il calciatore. Ma serve pazienza. Con il tempo capirà il rischio che ha corso e quanto è bello svegliarsi e trovare intorno a te, non solo i medici che ti aiutano, ma l’affetto e l’amore di chi ti vuole bene“.

Di
Redazione LaViola.it