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Blog dei Tifosi

Il Blog dei Tifosi – Speranza e pessimismo

Pierre Bayle nutre qualche dubbio sulla tenuta, soprattutto mentale, della Fiorentina. E teme che nelle fasi finali della stagione la squadra possa rimanere con un pugno di mosche in mano

Potrebbe sembrare fuori luogo non coltivare ottimismo in un momento come questo. C’è però differenza fra l’essere felici e l’essere ottimisti. La nostra è una squadra inesperta e fragile, soprattutto dal punto di vista psicologico. Manca la calma dei forti, che consente di gestire le situazioni senza smarrirsi, rimanendo focalizzati sull’obbiettivo da raggiungere evitando le montagne russe dal punto di vista emotivo.

Solo al terzo tentativo, dopo il Braga e il Lech, siamo riusciti a gestire la posizione di vantaggio acquisita all’andata di un turno di coppa senza rischiare niente. E per raggiungere questo stato di massima concentrazione abbiamo dovuto sacrificare i tre importantissimi punti di Monza, in una partita che, per come si era messa dopo un quarto d’ora, chiedeva solo di essere vinta. Una squadra davvero forte avrebbe giocato al gatto col topo con il Lech, e avrebbe fatto degli ultimi settanta minuti di Monza l’antipasto della partita con la Cremonese come atteggiamento e livello di attenzione: un esercizio per l’appuntamento di coppa. Invece contro i polacchi siamo stati più impegnati a chiedere giustizia delle inadeguatezze dell’arbitro piuttosto che a portare a casa il risultato, mentre a Monza sembrava che avessimo segnato a nostra insaputa, vista la partita sciatta e distratta condotta dopo il doppio vantaggio.

La goleada contro una Sampdoria che si è dissolta dopo aver preso gol allo scadere del primo tempo poco cambia da questo punto di vista: stavolta sulle montagne russe abbiamo avuto un picco. Più interessante la partita contro la Salernitana, contro una squadra in lunga serie positiva, molto determinata a conquistare prima possibile la salvezza matematica. Uno stato di cose che coinvolge tutto il gruppo, compreso l’allenatore, con alcuni elementi in particolare evidenza, rivelatori della mentalità generale della squadra.

Dopo quasi due anni di lavoro abbiamo giocatori come Ikoné e Sottil che sono più impegnati a lamentarsi in cerca di giustificazioni per i propri errori piuttosto che a lavorare per rimediarli. Altri, come il Chino Quarta e Dodo, passano da partite sontuose a pomeriggi di errori di superficialità in serie con una disinvoltura preoccupante. Lo stesso Amrabat è apparso svagato in Brianza, nonostante che per ruolo e posizione in campo abbia nell’applicazione una qualità importante. Evidentemente né il mister e il suo staff né i dirigenti hanno saputo trovare le leve giuste per convincere alcuni componenti della squadra a rivedere il proprio atteggiamento, che talvolta manifestano, come nel caso delle due ali, con ricercata platealità.

Il mister stesso si appoggia con troppa sicurezza su alcune delle sue certezze. È convinto della superiorità di Milenkovic, che di conseguenza non può farsi ammonire essendo in diffida, e lo fa giocare contro il Lech. E non giocherà la prima contro il Basilea. È convinto che per rimontare uno svantaggio nel finale sia necessario passare al modulo della disperazione, mettendo una seconda punta al posto di un centrocampista, perdendo regolarmente il filo del gioco, come successo ancora una volta a Monza.

Non riuscire a fare della voglia di vincere un abito mentale, che trasforma concentrazione e attenzione in una costante, al di là dell’avversario o della competizione che stiamo disputando, è una mancanza anche comprensibile per una squadra che ha una storia di difficoltà e di medio-bassa classifica negli ultimi sei anni, e che solo nella stagione passata ha riassaporato il gusto di centrare obiettivi più ambiziosi della salvezza. Tuttavia, quest’abito mentale è un requisito necessario non solo per centrare vittorie alla portata, ma anche per costruirsi quelle del futuro. Per esempio è ciò che è mancato a Monza: chi è ambizioso sa che è necessario tenersi aperte tutte le porte, compresa quella che potrebbe riportare la squadra in Europa passando dal campionato. Per cui si gioca per vincere, anche se giovedì c’è la coppa.

Chi è consapevole di questo sembrano essere i tifosi. La coreografia della Fiesole nella serata di Coppa Italia dovrebbe essere una gigantografia appesa alla parete della camera di ognuno dei componenti della squadra. I tifosi, che giocano la loro partita dagli spalti, sembrano quelli che più di ogni altra componente della Fiorentina ha fatto proprio l’assunto di fondo della voglia di vincere come abito mentale. Lo credo bene: sono più di vent’anni che aspettiamo!

Rocco invece sembra essere quello più consapevole dei limiti della squadra. Il suo appello al sostegno e all’unità dopo la partita contro il Bologna, l’assumersi in prima persona le responsabilità ci hanno rivelato, o confermato, che squadra e staff tecnico non hanno le spalle abbastanza larghe. Siamo una squadra molto meno forte dell’Inter, partiamo senza i favori del pronostico, ma si dice che in una finale, in una partita secca, tutto può succedere. Mi sembra più una forma di autoincitamento e autoconvincimento che una verità. Io credo che sia proprio in una finale che una squadra più forte non accetta di farsi togliere la vittoria da una squadra più debole: lo scivolone può accadere in campionato, ma chi sa di essere superiore, vuole far prevalere la propria superiorità al termine dei novantacinque minuti, e metterla a frutto vincendo il trofeo.

E se le nostre fragilità emergessero tutte nel momento più importante? Se la pressione diventasse insostenibile? Non mi sembra un’ipotesi così remota per una squadra che gioca una finale ogni dieci anni. Spes ultima dea, dicevano i latini. Ed è all’ultima dea che mi appiglio, rimettendo nel cassetto le prospettive che un più affabile ottimismo vorrebbe presentarci con enfasi e trasporto.

di Pierre Bayle

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