
Quentin Compson propone la sua ricetta per curare gli attuali mali della Fiorentina di Italiano
Chi frequenta Il Blog dei Tifosi probabilmente sa già quanto poco apprezzi mister Italiano non tanto per antipatia verso il personaggio e i suoi atteggiamenti (antipatia che beninteso c’è sempre stata), quanto per una oserei dire scientifica presa di posizione nei confronti delle scelte societarie operate nel mercato di gennaio del 2022, quello della cessione di Vlahovic per intenderci. Sì perché prima, beh, era oggettivamente complicato osteggiarlo per partito preso vista la bontà del suo lavoro iniziale (per altro da me ampiamente riconosciuta nell’editoriale intitolato Kairós).
I problemi nascono, appunto, dalla cessione di Vlahović, cessione palesemente telefonata da mesi che però non è stata mai assorbita dall’ambiente non solo tecnicamente quanto emotivamente, ma sopratutto dalla scelta dei suoi sostituti. Sto parlando, ovviamente, di Ikoné e Cabral: di certo non due stelle ma comunque giocatori dalle discrete referenze. Ikoné vanta una Ligue 1 vinta, e quattro presenze – con una rete – nella rappresentativa francese che, dal 2016 ad oggi, ha collezionato tre finali su quattro nei maggiori tornei ufficiali tra nazionali ai quali ha partecipato. Perciò delle due l’una: o i nostri amici transalpini usano fare beneficienza verso calciatori mediocri regalando loro, a turno, cinque minuti di gloria, oppure Ikoné, per essere stato convocato e schierato insieme a M’bappé, Giroud, Dembelé, Griezmann e soci qualche qualità possiamo legittimamente supporre che la abbia.
Cabral, dal canto suo, veniva da due stagioni con medie realizzative molto alte a Basilea – squadra più che attendibile e nella quale si sono formati e/o affermati, tra gli altri, Sommer, Embolo, Salah, Akanji, Vaclík, insomma calciatori “europei” a pieno titolo – e anche in Conference League. Di certo un attaccante su cui dover lavorare, magari non pronto per la Serie A come Vlahović o, per fare un altro esempio, un raffinato e navigato habitué del ruolo come Edin Dzeko, ma nemmeno un completo imbelle che in carriera aveva dimostrato una specifica allergia al gol, per intendersi.
Ed è stato qui, nella gestione di questi due elementi “altri”, stranieri, a modo loro disturbanti e probabilmente non voluti (a giudicare dalle dichiarazioni rilasciate a più riprese dal tecnico), che si sono formate le prime e indiscutibili crepe non tanto nel rapporto tra Italiano e la Fiorentina, quanto forse tra Italiano e se stesso, nel suo modo di proporre un certo tipo di calcio fortemente dogmatico, totalizzante, dai connotati quasi camerateschi. Se da un lato questi rappresentarono un elettroshock per un gruppo che veniva da due salvezze e ripetute umiliazioni sul piano dell’autostima, dall’altro poneva – per l’appunto – i classici problemi di tutti i totalitarismi: l’ordine e la disciplina pagati a carissimo prezzo con scarsa flessibilità, poca apertura mentale e incapacità di trovare soluzioni a problemi sempre nuovi.
Anche nei periodi migliori, la Fiorentina disdegnava il pareggio e si perdevano comunque molte partite cosiddette “da tripla” proprio per questa rigidità tattica e una certa ritrosia nel cambiare spartito; cambiamento che, per chi scrive, avrebbe quasi sporcato l’immagine sacrale del giovane e infallibile allenatore in missione col moschetto e il 4-3-3 dentro al cuor, tarpandogli le ali di una gloriosa carriera. La mia idea sulla vicenda, per altro esternata fin da subito sempre sul blog, è che per Ikoné e Cabral trovarsi catapultati in questa situazione sia stato, senza troppi giri di parole, un vero inferno.
Ma lo scopo dell’editoriale non è elogiare e difendere due calciatori “normali” e che comunque, dopo un anno, non hanno certo dimostrato di meritare alcun panegirico. No. L’obiettivo è sostenere che, nonostante Italiano abbia rappresentato per larghi tratti un leader carismatico e accentratore, tale da sviare e/o anestetizzare le ripetute negligenze societarie sotto il profilo di un ambizioso rafforzamento della rosa (un ruolo quasi da “parafulmine” che comunque, per essere onesti, gli è valso un cospicuo adeguamento dell’ingaggio), la situazione in cui ci troviamo non può più essere mitigata da un “libretto rosso” o dai comandamenti del buon 4-3-3. In parole povere, la malattia si è evoluta e le cure del caso sono diventate anacronistiche.
Occorre cambiare medico? Per alcuni è una perdita di tempo, perché il male è strutturale e non può essere curato con qualche numerino sulla lavagna e un simpatico maquillage tattico. Per altri, come il sottoscritto, vige una semplice regola di sopravvivenza: se anche si è momentaneamente costretti a vivere in una stamberga, senza concrete possibilità di miglioramento, anche una semplice mano di bianco alle pareti e un cambiamento d’aria possono rappresentare un beneficio per tirare avanti con dignità. Tradotto in termini più appropriati, questa Fiorentina (non la Fiorentina in sé, la Fiorentina ideale, la Fiorentina che tutti desideriamo e pensiamo di meritare: QUESTA, qui e ora) con i suoi interpreti, non può più giocare con l’attitudine della grande squadra: un pressing forsennato, il baricentro alto e un giro palla estenuante che vorrebbe essere mortifero per gli avversari ma che, in realtà, si rivela solo controproducente.
Bisogna tornare alla difesa a tre, un gioco più attendista ma verticale e per agevolare tanto Jovic (che in carriera ha segnato, praticamente, solo giocando assieme ad un partner d’attacco più fisico che gli lasciasse libertà di fiutare il gol), che Cabral, che Ikoné, che Barak. Giocare con due punte e una classica mezzala di inserimento, con molto sacrificio collettivo in fase di non possesso. Mi direte: e Nico? E Sottil? E Saponara? E Dodo? E capitan Biraghi, il miglior terzino sinistro d’Italia per occasioni create? E la pianificazione? Beh… Quelli che a molti sembrano i migliori della rosa, Amrabat incluso, per il sottoscritto sono a voler essere buoni degli onesti mestieranti (Nico, Amrabat appunto), se non dei sopravvalutati (Sottil) o degli atleti dalla dubbia tenuta fisica (Saponara).
C’era un tempo in cui – senza le ingerenze dei procuratori, dei video su YouTube e delle pagine Instagram – un allenatore poteva rendersi conto delle lacune dei suoi calciatori e lavorarci sù, anche in maniera rivoluzionaria, cambiando ruoli e attitudini. Intere carriere sono nate così. Senza scomodare i grandi nomi come Pirlo ma limitandoci, per esempio, a quello – sempre importante, ovviamente – di Zambrotta. I casi di Nico e Sottil sono emblematici in questo senso: calciatori tecnicamente non eccelsi, dalla buona corsa ma senza estro né incisività né continuità in zona gol, e che però nel calcio di oggi fanno volume, occupano le heat maps, configurano gli expected goals, e quindi sono considerati forti. Per me, idealmente sono poco più che terzini (i terzini di una volta, almeno) e in un ipotetico 3-5-2, o 3-4-2-1, farebbero i fluidificanti. Sempre se imparassero a difendere, beninteso.
Invece, la situazione attuale è che aspettiamo il loro ritorno alle armi (e quello di un altro calciatore mai decisivo dall’ormai lontano 2019, ma che gode sempre di una certa popolarità come Castrovilli) più o meno come Penelope aspettava Odisseo. Un vero paradosso che certifica la nostra momentanea ma inesorabile mediocrità e che andrebbe per l’appunto affrontato non tanto e non solo con cospicui investimenti sul mercato, ma anche con un più banale restauro generale, un riallineamento emotivo che cancelli l’ultimo, convulso anno fatto di incomprensioni, ripicche, proclami più o meno credibili e permetta a tanti, compresi Ikoné, Cabral e Jovic, di ripartire da zero o quasi.
Ho intenzione di assolvere e/o giustificare la proprietà per le sue mancanze? Figuriamoci. Ma la Fiorentina, per quanto momentanea stamberga, è la nostra unica casa. Mantenerla efficiente e dignitosa è un imperativo sempre, pur in condizioni di assoluta indigenza. Anche se additati come tirchi, ipercritici, viziati, e chi più ne ha ne metta, ritengo che sia i fiorentini che chi come me non lo è, possano comunque avere il diritto di godere di 90 minuti a settimana di calcio puro e semplice, anche senza obiettivi ambiziosi, scintillanti infrastrutture di proprietà e profeti della panchina da idolatrare (o accusare). Saluti viola a tutti.
di Quentin Compson
Invia anche tu il tuo articolo all’indirizzo mail [email protected] e avrai la possibilità di vederlo pubblicato nel Blog dei Tifosi!

Di
Redazione LaViola.it