
Partendo dalle parole pronunciate in conferenza stampa a Moena, Pierre Bayle elogia la figura del capitano della Fiorentina Cristiano Biraghi
Quando l’anno scorso prese la parola nella sala stampa di Moena, Biraghi riuscì a tracciare la linea per quello che sarebbe stato l’anno del riscatto viola, perché allora le sue parole furono rivelatorie di quel punto e a capo che la stagione avrebbe rappresentato nella nostra storia recente.
C’è da augurarsi che sia così anche quest’anno (Biraghi ha parlato in conferenza stampa a Moena qualche giorno fa LEGGI QUI). Il leitmotiv è stato quello del miglioramento ulteriore, concetto configurato in molti dei suoi aspetti già da mister Italiano e dalla dirigenza. Biraghi ha aggiunto però un particolare importante che chiama in causa i giocatori, e non per i gol sbagliati o gli errori tecnici da imputare con matita rossa a questo o quell’elemento: se il mister, la sua gestione e il lavoro sulla tattica hanno dato al gruppo la possibilità di esprimere più della somma dei singoli, adesso spetta ai giocatori fare un passo avanti sul piano della mentalità. Spetterà cioè a loro essere costanti, saper rilanciare ogni partita, mettere sul campo più maturità, per evitare i black out che hanno privato l’anno scorso la Fiorentina di qualche punto in più nella classifica finale. Biraghi ha citato anche partite specifiche, come quelle di Salerno e Genova. Il miglioramento quindi non sarà dato dai nuovi acquisti in quanto tali, ma dalla crescita della squadra.
È un capitano a muso duro il nostro. Tutt’altro che piacione, non regala sorrisi e facili entusiasmi, ma serietà e sincerità. È serio quando parla della possibilità di rimanere fino alla fine della carriera, non lo fa giurando amore eterno o particolare attaccamento alla maglia come altri giocatori che non sono più qui, ma motivando la sua disponibilità con l’ottimo rapporto con dirigenza e proprietà, e dicendoci che, semplicemente, arriva il momento in cui un giocatore sente la necessità di fermarsi, avendo trovato la squadra giusta, la sua dimensione. Per lui rimanere non è un sogno che si avvera, per lui rimanere, molto prosaicamente, “non è un problema”, come invece è stato per alcuni suoi ex compagni.
È sincero quando in modo appena appena implicito ammette di aver incassato la bocciatura da parte della sua squadra del cuore, l’Inter, dopo aver provato soddisfazione per la rivalsa di essersi ripresentato alla Pinetina dai tempi del settore giovanile.
Ma lo fa dopo aver ricordato che la nostra è una squadra abituata a palcoscenici più importanti della Conference League, segno che vive la sua militanza in viola come un ridimensionamento delle sue più antiche aspirazioni, ma abbastanza relativo. Non è cioè un accontentarsi, ma un rilanciare sull’ambizione di riportare la Fiorentina dove deve stare. Dopo aver riconosciuto senza mezzi termini che fino all’anno passato escluso hanno “fatto schifo” (sì, si può dire caro Cristiano), riconosce però con altrettanta schiettezza che la squadra non è (ancora) al livello del suo pubblico e della sua storia.
Capitano sincero, serio, capitano delle regole: nello spogliatoio non esistono le questioni di mercato. Il gruppo è focalizzato sul lavoro e il “casino che sta fuori” deve rimanere fuori, o vieni fatto fuori. E quando qualcuno si trasferisce, ciao e auguri. Un bel capitano insomma. Non vende sogni, non avendone, non va in cerca di avventure, e per questo è rigoroso.
Questo è il capitano che è. È comunque utile anche accennare il profilo del capitano che non è. Non è carismatico, e riconosce volentieri il ruolo del capo carismatico all’allenatore. D’altra parte, non è questa una squadra di fenomeni, lui per primo, e questo lo sappiamo bene, così come lo sa bene lui.
Capisco l’avversione di molti verso questa squadra, questo allenatore, questo capitano. I tifosi viola sono abituati ad altro, non direi a “ben altro”, ma sicuramente ad altro. La Fiorentina, quantomeno negli ultimi trent’anni, è stata una squadra configurata in maniera molto diversa da questa: una squadra che aveva fenomeni e gregari, con allenatori più defilati, che sapevano di dover affidare i loro successi al rendimento dei fenomeni.
Adesso invece è l’allenatore ad essersi preso sul campo la corona del fenomeno, status riconosciutogli da dirigenza, squadra e una parte della tifoseria. Per certi versi è un modo molto “moderno” di concepire le dinamiche di una squadra. Italiano è espressione di un tempo in cui il ruolo dell’allenatore si è molto evoluto, e lui è solo l’ultimo di una lunga serie di “fenomeni della panchina” o aspiranti tali. In un tempo in cui i volti di coloro che scendono in campo cambiano a ritmo vorticoso, colui che passa tutte le partite ad urlare a bordo campo sembra essere l’unica certezza almeno per una stagione, a patto che le cose vadano bene.
E Biraghi è il capitano giusto per questo calcio. Un capitano senza sogni, ma che trasmette serietà, concretezza e disciplina alla squadra. Può non piacere, anzi, è comprensibile che non piaccia. Potremmo concludere che il giorno in cui Biraghi non sarà più il capitano e il terzino titolare, la missione sarà stata compiuta, e la Fiorentina sarà tornata pienamente ai livelli del suo pubblico, forse arrivando anche un po’ più avanti delle aspettative.
di Pierre Bayle
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Di
Redazione LaViola.it