
Pecos Bill spiega come secondo lui la Fiorentina sia diventata una nobile decaduta del calcio italiano. Siete d’accordo?
Dispiace, per chi tifa Fiorentina dal lontanissimo 1958, ammettere che la nostra amata Viola è ormai da considerarsi irrimediabilmente una nobile decaduta al pari di un Bologna e di un Torino targati anni ’30 e ‘40 o come un Genoa e una Pro Vercelli di un calcio pionieristico.
Si può discutere e disquisire quanto si vuole, ma la vera rovina del calcio (inteso come sport e non come l’industria che è diventata oggi) è iniziata con la così detta Legge Bosman. In verità nel nostro Paese iniziò ancor prima con la Legge 23 marzo 1981 n. 91 in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti. Tale legge aboliva il famoso “vincolo calcistico”, sulla scorta del quale una società calcistica era proprietaria “sine die” della vita calcistica di un più o meno onesto “lavoratore del pallone”.
Non entro nel merito della legittimità di queste due leggi. Forse lo sono e, addirittura, sarebbe stato illegittimo il contrario, cioè il regime che governava la materia prima dell’entrata in vigore di queste due normative. Ma, comunque sia, quelle due leggi che ho evocato hanno decretato, di fatto, la “morte” del calcio inteso come sport. Quando in una competizioni sportiva non si può competere ad armi pari, è del tutto ovvio che non si può più parlare di sport e di competizione. Ed è altrettanto ovvio che, nella fattispecie, sono solo e soltanto i soldi a fare la differenza.
Intendiamoci, anche quando esisteva il così detto “vincolo” calcistico, le squadre più potenti economicamente (Juventus, Milan e Inter) sostanzialmente si accaparravano quasi sempre i migliori giocatori. Ma non certo come oggi. Diciamo anche che in ambito nazionale, una spinta alla rincorsa dei migliori calciatori e allo spendere e spandere in maniera quasi immorale, la diede Silvio Berlusconi con quel suo “primo” Milan quasi stellare. L’ex proprietario del Milan si accaparrava tutti i migliori calciatori del momento, magari senza averne un eccessivo bisogno “tecnico”, pur di non correre il rischio che finissero alla “concorrenza”. Un esempio su tutti fu il caso di Gianluca Lentini che, all’epoca (parliamo di una trentina di anni fa) fece quasi scandalo, sia per la somma spropositata che il Milan versò al Torino, sia per l’eccessivo ingaggio elargito al giocatore. Purtroppo non fu un investimento particolarmente felice, in quanto il destino volle che, causa un incidente stradale, la carriera di Lentini ad altissimi livelli finì praticamente agli inizi della stessa. Non che il Milan ne risentì particolarmente dal punto di vista “tecnico”, tutt’altro. Ma da allora (cioè da quell’iperbolico acquisto di un calciatore) il calcio nostrano prima e quello europeo e mondiale con la successiva sentenza Bosman, non è stato più lo stesso.
Conseguentemente ne è scaturita anche la “morte sportiva” di squadre da un blasone medio come la Fiorentina. In verità la “morte” della Viola avvenne definitivamente con quel fallimento (per certi versi ridicolo) preceduto sul campo dalla seconda retrocessione in B dell’era Cecchi Gori. Ma è del tutto evidente che, anche senza quel fallimento, la Fiorentina non sarebbe più stata quella squadra competitiva che fu per quasi un trentennio. In riva all’Arno, anche dopo il fallimento, sono comunque transitati giocatori di un certo livello (alcuni anche di livello abbastanza alto – Toni, Frey, Mutu, Gilardino, Chiesa e, parrebbe, Vlahovic). In alcuni casi (Mutu) sono state le vicende extra calcistiche a farli approdare in riva all’Arno. In altri casi (Gilardino) sono stati i fallimenti calcistici in squadre più blasonate a farli approdare verso lidi meno prestigiosi. Quelli, invece, che sono “esplosi” nella Viola (Toni, Chiesa e, a breve, lo stesso Vlahovic), sono durati con quella maglia da… Natale e Santo Stefano, in quanto attratti dalle sirene del dio denaro, unite a quelle della legittima ambizione sportiva. È giusto che nello sport e, nella fattispecie, nel calcio debba contare soprattutto la disponibilità economica? Forse sì, nel senso che sarà anche giusto e legittimo che i calciatori siano stati equiparati a dei professionisti che offrono le proprie prestazioni al miglior offerente.
Io, però, mi sono sempre rifiutato (e sempre mi rifiuterò) di considerare un calciatore che guadagna milioni e milioni di euro a stagione alla stessa stregua di un “normale” lavoratore che, per le prestazioni che elargisce al proprio datore di lavoro, guadagna si e no in un anno un 30/40 mila euro.
Ma, purtroppo, indietro non si può tornare e la nostra amata Fiorentina è ormai destinata a quel ruolo di nobile decaduta quali, prima di essa, le squadre che ho evocato in premessa.
di Pecos Bill
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Di
Redazione LaViola.it