Il ricordo di Davide Astori è ancora vivo. Come lo shock di quando arrivò quella notizia. Il 4 marzo è oggi, è ieri, è per sempre.
Il tempo aiuta a lenire il dolore, dicono. Lo shock, tuttavia, è ancora vivido. Il 4 marzo è oggi, è ieri. Tutti ci ricordiamo dove eravamo e cosa stavamo facendo quando arrivò quella notizia. C’è chi rimase in silenzio, con lo sguardo perso nel vuoto e i pensieri in stallo, fermi, immobili. C’è chi si è lasciato andare. Chi si è abbracciato con chi aveva vicino, chi ha voluto restare da solo. Chi la sera ha fatto fatica ad addormentarsi, chi ha avuto paura di farlo dopo che un atleta, un ragazzone super controllato, dal sonno non si era risvegliato.
UNO DI FAMIGLIA. Come se fosse arrivata la notizia della morte di un parente, dal niente, senza avvisaglie. Uno shock, appunto. In un momento in cui c’erano rabbia e delusione diffuse nei confronti di una squadra che stava navigando in cattive acque, il mondo viola si fermò. Il calcio si fermò. La famiglia viola si fermò. E si unì, nel dolore. Di quelli forti, che ti segnano. Dentro, nel profondo.
A UDINE. In pochi minuti Diego e Andrea Della Valle mollarono tutto e partirono. DDV alla volta di Udine per dare una carezza ai familiari del capitano e stare con loro, ADV partendo dal Marocco e arrivando al centro sportivo a Firenze per accogliere i calciatori e stringersi attorno a loro.
IN PIAZZA. L’8 marzo, una piazza ed una chiesa simbolo di Firenze, si riempirono di una folla oceanica. In lacrime. Distrutta. Perché nel frattempo, dai vari racconti, erano emersi valori umani che in pochi conoscevano che avevano alimentato l’esigenza interiore in molte ‘persone comuni’ di voler porgere a quel ragazzone buono che aveva sempre il sorriso stampato sul volto un ultimo saluto
Anche le annose ostilità si acquietarono. I cori di contestazione e le offese che si ripetevano da mesi a Diego Della Valle scomparvero e vennero sostituiti da applausi ed un pugno sul cuore da parte di DDV dal forte significato emotivo e simbolico.
I ‘nemici’ della Juventus partirono all’alba con un volo charter dall’Inghilterra dove avevano giocato in Champions per essere presenti, e vennero accolti da applausi, lacrime e carezze.
La lettera letta da Milan Badelj è ancora oggi, a distanza di tre anni, ricordata in molti passaggi:
BENEVENTO. Poi la gara col Benevento, era l’11 marzo. Sui cancelli del Franchi c’erano foto, sciarpe, messaggi e fiori dopo un via vai continuo di persone che avevano sentito dentro il bisogno di stare in silenzio dinanzi a quel ‘muro del pianto’.
Al minuto 13 tutti fermi. Lacrime, applausi, uno stadio che da vuoto era tornato pieno in nome del capitano.

Il ‘saluto al capitano’ di Vitor Hugo, a segno dopo uno stacco aereo in cielo, divenne il simbolo di uno spogliatoio distrutto che da quel dolore si riunì, e ripartì.
Con una città e un popolo appresso. Il resto è storia, come la serie di vittorie e risultati di fila che quel gruppo riuscì ad ottenere tirando fuori degli attributi giganteschi. Come quelli che ha dovuto tirar fuori la compagna Francesca nel crescere da sola la piccola Vittoria. Il dolore è lo stesso di allora. Il tempo non ha lenito un bel niente. E neanche la parola fine alle indagini e al processo, in corso, per chiarire perché tutto ciò sia avvenuto potrà farlo. Davide Astori, semplicemente Davide Astori. Tanto da portare uno come Stefano Pioli, non certo avvezzo ai tatuaggi, a segnarsi in maniera indelebile sul corpo quel DA13. Ogni altra parola sarebbe superflua. Il 4 marzo è oggi, è ieri, è per sempre.

















































































































































Di
Gianluca Bigiotti