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Kalinic e il mal di gol che continua. È specchio della sterilità offensiva viola

Qualcuno lo ha definito un centravanti-mediano. Per il lavoro asfissiante che fa per la squadra, il pressing e le giocate ‘sporche’ per la manovra viola. Dietro alla sterilità dell’attacco viola, però, c’è anche (e soprattutto?) lui. Nikola Kalinic. Un centravanti moderno per movimenti e caratteristiche. Di quelli che piacciono da morire agli allenatori. Spesso però poco lucido sottoporta. Lontani i tempi in cui, un anno fa, aveva segnato 5 gol (con 3 assist) nelle prime otto giornate di campionato. Decisivo fin contro il Milan (causando il rosso a Rodrigo Ely), poi la tripletta all’Inter a suggellare il suo avvio d’oro. Adesso, la fatica a fare gol della Fiorentina passa anche dai suoi numeri.

Un gol in sette gare (e mezzo) di campionato, per Nikola Kalinic. Due reti in nove gare (e 715′ totali), se si considera anche l’Europa. In casa, in Serie A, non segna da sei mesi (era il 24 maggio, 1-2 contro la Juve). Appena 3 gol nelle ultime 27 partite di campionato: numeri che raccontano bene la crisi di gol del croato, e insieme quella della Fiorentina. Qualcuno, in maniera provocatoria, sostiene che questo sia il vero Kalinic, mentre quello capace di segnare 8 gol (e 3 assist) nelle prime 12 gare dello scorso campionato fosse solo un’illusione. Figlia anche della preparazione anticipata dello stesso Kalinic (che iniziò la stagione con il Dnipro). Tutto questo può avere un fondo di verità, o magari la realtà sta nel mezzo. Visto che poi, in estate, offerte da 25-30 milioni per lui erano arrivate. Anche dal Napoli, che aveva pensato al croato per sostituire uno come Higuain. Insomma, uno come Kalinic non può essere etichettato come ‘pacco’. Ma la crisi in area di rigore è evidente.

Anche ieri, contro l’Atalanta, giocate importanti per far respirare la squadra, a metà campo e sulla trequarti. Anche dribbling di qualità in mezzo agli avversari. Un’occasione nel primo tempo, con un tiro di mancino finito alto, e poi l’opportunità clamorosa nella ripresa. Un colpo di testa da due metri, su ottimo assist di Bernardeschi, a porta vuota, finito però incredibilmente fuori. Insomma, fosse stato gol saremmo a parlare di tutt’altra storia. Così come contro il Milan, ma anche contro il Torino: almeno 2-3 palle nitide a partita non trasformate in gol. E siccome nel calcio vince chi segna, fallire occasioni così nette diventa un peccato capitale. E condiziona i risultati.

Certo, non tutte le colpe sono dello stesso Kalinic. Giocatore che, in carriera, raramente ha superato i 15 gol a stagione. Ci è riuscito solo nell’anno d’oro al Dnipro (ne fece 19 in 48 gare tra campionato e coppe) e nell’Hajduk Spalato nel campionato croato. Magari, liberato da più compiti difensivi, da continue corse dispendiose, potrebbe arrivare più lucido davanti al portiere. Neanche l’inserimento di Babacar al suo fianco, contro l’Atalanta, è servito a molto. In generale, è anche la manovra viola a non aiutare il croato. Palloni spesso difficili, azioni lente, cross imprecisi.

Kalinic è specchio della Fiorentina, non si riesce ad uscire dall’inghippo. Serve trovare le contromisure, la giusta medicina, per riportare Nikola (ed i viola) a trovare la via del gol. E tornare finalmente alla vittoria.

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