Ludwig dedica il suo ultimo post alla figura di Rigoletto Fantappiè, recentemente scomparso
Non c’è credo bisogno di spendere molte parole per spiegare chi sia Forrest Gump, il personaggio del geniale film di Robert Zemeckis, la cui vita attraversa la storia degli Stati Uniti d’America dal 1960 al 1980. Anni che Forrest percorre felicemente inconsapevole, visto il suo lieve ritardo mentale, con nella testa una storia d’amore unica e straordinariamente romantica che alla fine si realizzerà. La Fortuna viene sempre in suo aiuto seguendo vie imperscrutabili. E lo fa essere sempre nel posto giusto al momento giusto: le lotte per i diritti civili, l’esibizione a Pechino della squadra di ping-pong americana, il Vietnam e il Watergate.
Anche la Fiorentina ha avuto il suo Forrest Gump. Il suo nome era Rigoletto, Rigoletto Fantappiè. Sul piano onomastico il paragone regge. Gump significa pazzo, folle. Fantappiè portava dalla nascita il nome di un eroe verdiano, che di professione fa il buffone di corte. Ma naturalmente il nostro Rigoletto non era né folle né ritardato. Al contrario, si trattava di un uomo istruito, che dopo aver svolto studi tecnici, era entrato in una delle più prestigiose case editrici fiorentine, diventando direttore editoriale.
Detto questo, se si guarda retrospettivamente alla storia della Fiorentina, Rigoletto sembra essere ovunque. Come Forrest o lo Zelig di Allen. L’elenco che segue è inevitabilmente parziale. Un bambino di sei anni prende a calcio un pallone, veste la casacca bianca e rossa, siamo nel 1927.
Rigoletto è del 1921, la Fiorentina è stata appena fondata e la guida l’aristocratico marchese Luigi Ridolfi Vay da Verrazzano. Passano pochi anni e il marchese ha bisogno di un impiegato che consegni messaggi e telegrammi. Rigoletto si assume l’impegno e con le sue giovanili energie percorre Firenze in lungo e in largo al servizio della Fiorentina. È lui che sin da allora anima il tifo; si produce in tentativi estemporanei di sostenere la squadra, come gli improvvisati megafoni; ottiene con i suoi amici di occupare un posto in cima alla Torre di Maratona dello stadio appena costruito. Si era in un’epoca particolare. Per conquistare alla causa fascista i riottosi giovani fiorentini e per zittire le simpatie socialiste di molti, Ridolfi e Pavolini avevano creato una società di calcio strettamente legata al partito fascista.
Rigoletto, con le sue sette vite, sopravvive al mutamento storico. La sua presenza, nel secondo dopoguerra, si fa costante nei consigli di amministrazione viola. C’è anche lui alla riunione in cui si discute se accettare l’offerta della Juventus per Antognoni. L’assalto è respinto, ma anni dopo sorte diversa toccherà a Baggio e si scatenerà un vero e proprio tumulto. Rigoletto gli fa promettere che non segnerà mai a Firenze con la maglia della Juve e Baggio ubbidisce. Di Mario Cecchi Gori è amico ascoltato, ma i rapporti sono di stima e affetto anche con la famiglia Della Valle.
Il sogno finale di Rigoletto è davvero degno dell’ultima sequenza di un film americano alla Zemeckis. Una grande festa nel suo stadio, che non può essere che il Franchi, durante la quale celebrare il traguardo dei cent’anni. Questa festa non si farà, a cent’anni Rigoletto non c’è arrivato. Possiamo solo immaginare quanto sarebbe stata bella. Peccato.
di Ludwigzaller
Di
Redazione LaViola.it