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Il blog di Ludwigzaller: Tucker

Nel 1948 un imprenditore americano, Preston Tucker, annunciò di voler immettere sul mercato una vettura rivoluzionaria. La macchina aveva un motore leggerissimo e potente, freni a disco, alimentazione a iniezione, dotazioni di sicurezza che rappresentavano un nuovo standard per l’epoca. Ed era bellissima. Tucker fece in tempo a presentare qualche decina di esemplari a Chicago prima che una commissione governativa, ispirata dalle grandi case automobilistiche, non bloccasse il progetto con accuse di frode. Tucker uscì pulito dal processo, ma la ditta fallì.

Ci sarà sempre qualcuno pronto a combattere le novità per partito preso, in nome di una difesa della tradizione dietro la quale si nascondono interessi consolidati, paura del cambiamento e una certa inevitabile consapevolezza della propria mediocrità. Quest’ombra nella storia affiora spesso e nella letteratura e nel cinema si è tentato di descriverla. La incarnano il farmacista Homais, falsamente progressista, che alla fine si rende responsabile della morte della signora Bovary, il Salieri immaginario che divorato dall’invidia perseguita Mozart, l’uomo di affari John Sculley, già presidente della Pepsi-Cola, che prende possesso della Apple e licenzia Steve Jobs.

La parabola di Montella come allenatore ha rispettato perfettamente questo copione già a Firenze. Montella aveva studiato a Coverciano il calcio spagnolo di Guardiola e ne voleva introdurre i principi in Italia. La facilità con cui questo progetto prese vita a Firenze ebbe del miracoloso. Montella lo perseguiva con un ammirevole perfezionismo, una visione senza sospetti di compromesso ed una ingenuità donchisciottesca. Ricercava il bello ed era convinto che per vincere si dovesse esprimere sul campo una certa idea estetica del calcio.

Montella giocava con un centravanti arretrato e senza trequartisti, con una sola punta. Si pensò, con sottile ragionamento, che per far rendere di più la squadra ci volevano un centravanti vero, due punte ed un trequartista. Giocatori fondamentali nello schema tattico originario vennero licenziati. Inevitabilmente tutto ciò finì per corrodere il progetto dall’interno. La bella squadra del primo anno non si rivide più.

Montella passò poi Sampdoria e quindi al Milan, dove quest’anno gli era stato messo a disposizione un budget davvero importante. Ma quel che si pretendeva era che il Milan sin dalla prima partita lottasse per lo scudetto, contro altre squadre più rodate ed esperte. A mano a mano che i risultati non arrivavano la vecchia diffidenza verso il suo gioco, tornava a farsi sentire. A lamentarsi erano esagitati giornalisti televisivi, vetusti campioni, attori e cantanti tifosi del Milan, che si dicevano tormentati ed insonni per come il Milan stava giocando.

Berlusconi a suo tempo, in circostanze simili, aveva difeso Sacchi, e De Laurentiis fece lo stesso con Sarri, dopo un esordio disastroso. Montella non aveva difensori perché il proprietario del Milan abita in Cina e non è certo che sia solvibile, i dirigenti temevano per la loro sorte e non sapevano che pesci prendere. Alla fine Vincenzo è stato licenziato ed è arrivato un allenatore che per carattere e visione del calcio è l’esatto opposto, il ringhiante Gattuso. Come se a dirigere l’accademia dei Lincei al posto di Federico Cesi fosse stato chiamato il gesuita Bellarmino. Una autentica restaurazione, una controriforma che dimostra quanto sia difficile la vita per gli innovatori: ed in particolare in Italia.

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