
Durissima la vita di un burattino che, nella Toscana rurale dell’Ottocento, cerca di trasformarsi in un bambino come tutti gli altri. Capita che il tuo babbo con immensi sacrifici acquisti per te l’abbecedario, ma non appena uscito di casa ti trovi di fronte un tale che acquista libri e glielo vendi. Poi usi i soldi per comprare il biglietto per lo spettacolo circense di un tal Mangiafoco, rischi la vita, ma alla fine hai più che raddoppiato il capitale e ti ritrovi in tasca un pugno di monete d’oro. Sarebbe giunto il momento di tornare a casa e di mettere la testa a partito, se non che ti imbatti in due imbroglioni di strada di pochi scrupoli, che ti convincono che la cosa migliore sia di seminare in un campo le monete, nella convinzione che nel giro di pochi minuti crescerà in quel luogo una pianta carica di soldi. E non importa che il Campo dei miracoli si trovi in una amena località popolata da truffatori, il paese di Acchiappacitrulli. Pinocchio, che in qualche modo è un protocapitalista desideroso di moltiplicare in fretta il proprio denaro, ci crede fermamente. Mentre tenta di raggiungere il campo viene però catturato da due assassini che lo impiccano ad una quercia.
E qui il romanzo sarebbe macabramente terminato, con il burattino che esala l’ultimo respiro. Ma per le insistenze dei lettori del “Giornale dei bambini”, che seguivano la storia a puntate, Collodi andò avanti. Salvato dalla fata, e con gli zecchini d’oro sotto la lingua, Pinocchio ritenta, sempre su suggerimento del Gatto e la Volpe, la strada del campo. Dopo aver seppellito le monete, il burattino per antonomasia fantastica: “E se invece di mille monete, ne trovassi su i rami dell’albero duemila?… E se invece di duemila, ne trovassi cinquemila? E se invece di cinquemila ne trovassi centomila? O che bel signore, allora, che diventerei!… Vorrei avere un bel palazzo, mille cavallini di legno e mille scuderie, per potermi baloccare, una cantina di rosolii e di alchermes, e una libreria tutta piena di canditi, di torte, di panettoni, di mandorlati e di cialdoni colla panna”. La dimensione del desiderio, in un mondo dominato dalla fame, si incrocia implacabilmente con quella alimentare. Pinocchio è il grande sogno gastronomico e culinario di quei contadini toscani, nostri progenitori, che stentavano a procacciarsi un pasto dignitoso.
Ma quando il nostro ritorna al campo per verificare la crescita del suo albero non trova niente, il Gatto e la Volpe hanno fatto piazza pulita. La morale la tira un pappagallo appollaiato su di albero e che ha visto tutto: “per mettere insieme onestamente pochi soldi, bisogna saperseli guadagnare o col lavoro delle proprie mani o coll’ingegno della propria testa”.
L’anno scorso la Fiorentina fece incetta di giocatori che provenivano dal celebre campionato di calcio del paese di Acchiappacitrulli. Speriamo di cuore che nell’opera di far crescere pianticelle cariche di monete d’oro Corvino quest’anno sia più fortunato. Intanto Moena appare sempre di più come un campo dei miracoli, dove si avvicendano sul prato tanti giovanotti arrivati da diverse parti del mondo, ognuno dei quali, nella aspettativa del ds, decuplicherà il proprio valore nel giro di qualche settimana. Così almeno garantiscono astuti procuratori cresciuti alla scuola del Gatto e la Volpe. Di quelli già formati con un duro lavoro, come Vecino, ne sono rimasti pochi, anzi nessuno. E non a caso uno dei nuovi arrivati porta un nome simbolico che evoca gli zecchini.
di Ludwigzaller

Di
Redazione LaViola.it